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Come prevenire il woke washing e fare della sostenibilità un vantaggio competitivo perpetuo.


La Corporate Sustainability Reporting Directive (“CSRD”), entrata in vigore lo scorso mese di novembre, sta accrescendo l’interesse sulla finalità e le modalità di rappresentazione delle informazioni non finanziarie, ovvero su tutti gli elementi che vedono il coinvolgimento aziendale su: ambiente, aspetti sociali, trattamento e attenzione alle aspettative e le esigenze dei dipendenti, rispetto dei diritti umani, anticorruzione.

Parte dell’attenzione è dovuta al D. Lgs. n.254/2016 che, recependo la Direttiva 2014/95/UE, ha reso obbligatoria la redazione e la pubblicazione della Dichiarazione Non Finanziaria per:

  • Enti di Interesse Pubblico (Società o holding di gruppo quotate in borsa), banche, assicurazioni e imprese di riassicurazione che hanno un numero di dipendenti superiore a cinquecento e uno dei seguenti requisiti dimensionali: (1) 20 milioni di totale attivo patrimoniale; (2) 40 milioni di ricavi netti delle vendite.
  • Società madri di gruppi di grandi dimensioni, aventi la qualifica di Enti di Interesse Pubblico, che hanno superato i suindicati limiti dimensionali.

La diffusa possibilità di accedere a finanziamenti a condizioni più favorevoli e di attrarre investimenti in business “sostenibili”, fa sì che anche aziende non obbligate alla rendicontazione non finanziaria si stiano adeguando, inserendo nei propri bilanci i coefficienti ‘’materiali’’ dell’impegno in attività ed investimenti a favore della sostenibilità aziendale.

Dal punto di vista della rilevazione contabile, gli indicatori di performance più diffusi sono stati formulati dalla Global Reporting Initiative, ente senza scopo di lucro istituito che ha definito uno standard di rendicontazione. La seguente mappa navigabile illustra un esempio di struttura degli standard a blocchi.

Al di là degli aspetti normativi, si ritiene che la materia rivesta una portata molto più ampia della corsa agli adeguamenti cui si sta assistendo. Tuttavia, la copiosa terminologia compressa in numerosi acronimi [1] e lo spessore del background minimo necessario per raggiungere un livello di conoscenza adeguato [2], rendono non agevole la definizione del piano d’azione più efficace.  

Partendo dal presupposto che il concetto di rendimento non finanziario è un “quasi” ossimoro ed introdurre alle imprese di piccole e medie dimensioni un tema che può apparire astratto, oltre che intangibile, il primo passo può essere l’inquadramento del “clima” nel quale si affronta il tema.

Per misurare il clima, è utile porsi tre domande preliminari su: la motivazione alla base del piano di attività, il reale impatto che si intende imprimere all’interno ed all’esterno della propria organizzazione e le aspettative, in termini di ritorno sul lungo periodo, degli investimenti del management e della governance.

Tra i quesiti di base, la motivazione si ritiene costituisca il punto centrale, sul quale puntare il compasso e posizionarsi su quella che può essere definita la DNF Area.

In base a quanto schematizzato, si ritiene che l’innesco alla sostenibilità rappresenti una:

  • Occasione per formalizzare e consolidare un’attitudine risalente, una cifra distintiva della proprietà e del management, che adottano spontaneamente comportamenti responsabili verso i propri portatori d’interesse e la collettività.
  • Opportunità per creare vantaggi durevoli, rispetto ai competitors in ritardo o comunque meno attenti alle evoluzioni della domanda ed alle evoluzioni che stanno riguardando le decisioni di acquisto della quasi totalità dei settori.
  • Necessità dettata dalle nuove normative in vigore a livello comunitario e nazionale per coloro che per dimensioni aziendali e/o ricorso a finanza esterna devono adempiervi.

Identificata la leva che muove le decisioni, si procede con il check-up dei comportamenti interni e della filiera e delle attività esterne poste in essere.

Per quanto riguarda l’analisi del sistema aziendale, inteso nell’accezione più estesa, pur essendo gli standard in sistematica evoluzione, è possibile riferirsi a modelli impostati con un adeguato livello di completezza, ovvero nella fase iniziale fornire alcune informazioni minime, individuate in modo congiunto da Confindustria ed il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti [3].

In merito all’impatto collettivo, ovvero al contributo che le imprese possono offrire al miglioramento della qualità della vita e dell’ambiente esterno alla filiera aziendale, mancano ancora criteri e metodi che consentano di introdurre in modo strutturato tali forme di supporto nelle DNF.

In attesa che si consolidino metodologie universalmente riconosciute in grado di trasferire in termini non finanziari l’impatto generato da interventi in ambito sociale, è possibile, per le imprese che intendono anticipare i tempi e favorire immediatamente il cambiamento, contribuire al finanziamento di programmi ad impatto in corso, ovvero realizzati ad hoc.

Affinchè tali investimenti siano “ad elevato rendimento non finanziario” e possano pertanto essere recepiti nei bilanci di esercizi, azzerando al contempo i rischi di wokewashing involontario, è opportuno affidare le attività ad operatori qualificati che abbiano expertise dimostrabili e siano in grado di garantire il corretto compimento delle attività programmate ed un efficace misurazione dei risultati.

Per accelerare le interlocuzioni e l’avvio, anche sperimentale, di tali cooperazioni, Russiello & Partners svolge un’attività di scouting di soggetti attuatori i quali:

  • Dispongono di procedure interne formalizzate
  • Hanno maturato uno specifico know how in tema di reportistica sociale
  • Organizzano iniziative pertinenti con i target degli investitori
  • Adottano metriche attendibili, sottoposte a miglioramento continuo
  • Svolgono rilevazioni potenzialmente digitalizzabili
  • Offrono la certificazione degli outcome da citare nelle DNF.

_______

[1] CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive; DNF – Dichiarazione non finanziaria; EFRAG – European Financial Reporting Advisory Group; ESAP – European Single Access Point; ESG – Environmental Social Governance; GRI – Standards Global Reporting Initiative; NFRD Non-Financial Reporting Directive; SDGs – Sustainable Development Goals; SASB – Sustainability Accounting Standards Board.

[2] An analysis of the goals and the targets | Integrare Gli Sdgs Nel Reporting Aziendale: Una Guida Pratica | Una Guida per l’azione del settore privato sugli SDGs

[3] Finanza sostenibile e fattori “ESG”: stato dell’arte, sviluppi futuri e opportunità

Informazioni obbligatorie sull’ambiente: danni causati all’ambiente per cui la società è stata dichiarata colpevole in via definitiva; sanzioni; pene definitive inflitte all’impresa per reati; danni ambientali; emissioni gas ad effetto serra ex l. 316/2004.

Informazioni obbligatorie sul personale: morti sul lavoro, per le quali è stata accertata definitivamente una responsabilità aziendale; infortuni gravi sul lavoro per i quali è stata accertata definitivamente una responsabilità aziendale; addebiti in ordine a malattie professionali su dipendenti; ex dipendenti e cause di mobbing, per cui la società è stata dichiarata definitivamente responsabile. Informazioni facoltative sul personale e sull’ambiente: investimenti in personale e relativi costi di esercizio; investimenti ambientali e costi ambientali; politiche di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti, se rilevanti; certificazioni ambientali; emissioni gas ad effetto serra ex l. 316/2004, se la società non rientra in un settore per il quale tale informativa è già obbligatoria.

Credits www.environmentalgraphiti.org © 2022

Pasquale Russiello, laureato in Economia e Gestione delle Imprese alla Federico II è Cultore della materia “Corporate Governance all’Università del Sannio” è iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti di Napoli dal 1997 e Revisore contabile dal 1999. Ha collaborato con Dresdner Bank e Barclays Bank per la creazione e gestione di…


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